07 giugno 2019 – Avv. Stefano Massimiliano Ghio
Lo straining è una forma attenuata di mobbing nella quale le vessazioni non hanno il carattere della continuità pur essendo produttive di danno all’integrità psico-fisica del lavoratore.
Sostanzialmente il fenomeno si verifica quanto il datore di lavoro promuove condizioni lavorative “stressogene” per il suo dipendente tali da creare un danno psico-fisico. Anche in tali casi è possibile pretendere il risarcimento del danno.
La recente sentenza della Corte di Appello di Milano, Sez. Lavoro, 31/01/2019, ha voluto ribadire il principio secondo il quale non vi è alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c. (corrispondenza tra il chiesto ed il giudicato) rispetto ad una sentenza risarcitoria fondata sulla provata esistenza del fenomeno dello straining ove il lavoratore abbia invece preteso un risarcimento del danno per violazione dell’art. 20187 c.c. facendo riferimento al solo fenomeno del mobbing.
“La non configurabilità della dedotta fattispecie di mobbing, non osta all’affermazione di una responsabilità risarcitoria del datore di lavoro ove risulti provata la più lieve ipotesi del c.d. straining, in presenza di elementi i quali per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto, evidenzino la creazione, ad opera del datore di lavoro medesimo, di condizioni lavorative stressogene, tali da provocare nel prestatore una modificazione in negativo, costante e permanente, della situazione lavorativa, atta ad incidere sul diritto alla salute, costituzionalmente tutelato.” (Corte Appello di Milano sez. lavoro 31/01/2019)
Tale sentenza sopraggiunge alla costante giurisprudenza di legittimità la quale aveva già avuto modo di osservare che entrambi i fenomeni costituiscono comportamenti datoriali ostili, atti ad incidere sul diritto alla salute e rappresentano il semplice risultato di differenti qualificazioni di tipo medico-legale (Cass. Civ. Sez. Lavoro 10/07/2018 n. 18164).
La precisazione appare molto utile in quanto molto spesso si riscontrano difficoltà a provare l’intento persecutorio del datore di lavoro (caratteristico del mobbing) nel mentre paiono processualmente più evidenti le azioni datoriali “stressanti” quali il demansionamento, l’isolamento, l’emarginazione produttiva ed i maltrattamenti.
Dinnanzi a tali elementi di fatto ma in assenza di specifica deduzione, troppo spesso i giudici di merito respingono le domande di risarcimento danni non valutando la sussistenza del fenomeno dello straining (quale forma attenuata del mobbing).
Ebbene in appello sarà sempre possibile chiedere l’accertamento di tale forma di mobbing attenuata ed il relativo risarcimento del danno, in quanto, per le ragioni sopra riferite, tale deduzione non incontrerebbe le preclusioni dell’art. 345 c.p.c. sulle domande nuove.