29 Aprile 2019 – Avv. Stefania Corvaro
Una delle prove cardine del processo civile è quella testimoniale: i testimoni (o testi) sono soggetti estranei alla causa, in quanto la prova testimoniale consiste nella raccolta sotto giuramento di dichiarazioni rese da soggetti che non sono parte del processo e che sono a conoscenza dei fatti di causa.
La legge pone limiti all’ammissibilità di questa prova.
1. È esclusa quando si controverta di un atto per il quale la forma scritta è richiesta “ad substantiam”.
2. Non è ammessa quando abbia in oggetto un contratto, un pagamento o una remissione di debito per un valore superiore a 2,58 euro, anche se il giudice può consentire la prova oltre questo limite, in considerazione della qualità delle parti, della natura del contratto e di qualunque altra circostanza (artt. 2721 e 2726 c.c.).
3. Non è ammessa, indipendentemente dal valore, se ha in oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, se venga allegato che la stipulazione è avvenuta in precedenza o in contemporanea.
Tuttavia, se viene allegato che il patto aggiunto o contrario è stato stipulato dopo la formazione del documento, il giudice può consentire la prova testimoniale in base alla verosimiglianza (art. 2723 c.c.).
Non è ammessa quando la legge (es. transazione) o la volontà delle parti (cd. forma convenzionale) richiedono la forma scritta ad probationem, a meno che il contraente abbia senza sua colpa perso il documento che gli forniva la prova (art. 2725 c.c.).
La prova testimoniale è sempre ammissibile?
La prova testimoniale è sempre ammessa, in ogni caso (art. 2724 c.c.) quando è preesistente un principio di prova per scritto, quando il contraente è stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta, quando il contraente, senza sua colpa, ha perso il documento che gli fornisce la prova.
La prova testimoniale deve essere dedotta, dalla parte che la propone, con indicazione specifica delle persone che devono essere interrogate e con indicazione dei fatti sui quali ognuno deve essere interrogato, ed è ammessa con ordinanza dal giudice istruttore, che può ridurre le liste dei testimoni in più ed eliminare i testimoni che per la legge non possono essere sentiti.
L’assunzione della testimonianza (artt. 253-254 c.c.) avviene da parte del giudice, che interroga i testimoni sui fatti, e può rivolgere le domande che ritiene necessarie e utili per chiarire i fatti in questione.
Il testimone si può astenere dal deporre quando ricorrono le ipotesi relative al segreto professionale, d’ufficio e di stato.
Gravano, quindi, sulla parte che chiede al giudice l’ammissione della prova testimoniale, sia l’onere della deduzione specifica dei fatti che non può avvenire in modo impreciso o generico, allo scopo di consentire al giudice la valutazione sulla rilevanza e l’ammissibilità della prova e alla controparte di predisporre un’adeguata difesa (Cass. n. 20682/2005; Cass. n. 4056/1989), sia l’onere di indicare le persone da interrogare, e di porre in condizione la controparte di eccepire eventuali inattendibilità o incapacità.
La formulazione della prova testimoniale deve avvenire per “articoli separati“, posto a presidio della chiarezza espositiva dei fatti, ai fini della valutazione della rilevanza e dell’accertamento della verità da parte del giudice, che esige, quanto meno che le circostanze siano dedotte in capitoli specifici, articolate per paragrafi o punti e collocate univocamente nello spazio e nel tempo (Cass. n. 9547/2009).
Una volta superato il vaglio di ammissibilità e rilevanza delle prove testimoniali da parte del giudice, l’audizione dei testi indicati è disposta dallo stesso con ordinanza.
L’intimazione a comparire
L’articolo 250, novellato ex d.L. 35/2005, in vigore da marzo 2005, ha previsto che l’intimazione al testimone, con l’invito a comparire all’udienza fissata per la prova. Se il testimone non compare senza giustificato motivo, il giudice può ordinare un’altra intimazione o l’accompagnamento coattivo e lo può condannare al pagamento di una pena pecuniaria.
In caso di mancata comparizione, senza giustificato motivo, il giudice può disporre l’accompagnamento del testimone in udienza e la condanna al pagamento di una pena pecuniaria non inferiore a 200 euro e non superiore a 1000 euro.