Il lavoratore che abusi dei permessi di lavoro riconosciuti per assistere un familiare disabile previsti dalla legge 104/1992 impiegandoli per finalità diverse viola il vincolo fiduciario in modo rilevante e giustifica il suo licenziamento.
Questo afferma la Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 18/02/2019, n. 4670: “Il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che, in relazione al permesso ex art. 33, L. n. 104/1992, si avvalga dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività di tipo personale (presso esercizi commerciali ed altri luoghi comunque diversi da quello deputato all’assistenza), integra l’ipotesi dell’abuso di diritto, giacché tale condotta si palesa, nei confronti del datore di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integra nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale.”.
Il rapporto tra l’abuso della 104/92 ed il licenziamento in vero appare pacifico in giurisprudenza nonostante la cassazione sia chiamata spesso giudicare la questione (vedere anche Cassazione Civile sez. VI con l’Ordinanza 30/01/2019, n. 2743).
Meno pacifico invece è la possibilità di utilizzare le indagini di un agenzia investigativa.
Anche sotto tale profilo la citata sentenza ha avuto modo di chiarire la legittimità di tale modalità di indagine sicché non preclusa “dagli artt. 2 e 3 st. lav., laddove non riguardino l’adempimento della prestazione lavorativa, ma siano finalizzati a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo..” (vedere anche Cass. 12 settembre 2018, n. 22196 e Cass. 11 giugno 2018, n. 15094).
La Corte nelle sue motivazioni prosegue affermando che tal attività è lecita ove non sconfini nella vigilanza dell’attività lavorativa riservata dall’art. 3 dello Statuto dei lavoratori al datore di lavoro ed ai suoi collaboratori ne osterebbe il principio di buona fede di cui all’art. 4 del medesimo Statuto “ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere il controllo, anche occulto, ed essendo il prestatore d’opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro”.
Per altro tale controllo effettuato durante un periodo di sospensione del rapporto quale è il periodo in cui il lavoratore usufruisce della 104 veniva dichiarato legittimo “al fine di consentire al datore di lavoro di prendere conoscenza di comportamenti del lavoratore, che, pur estranei allo svolgimento dell’attività lavorativa, siano rilevanti sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro, che permane nonostante la sospensione”.
Il malcostume e l’illecito possono evidentemente essere contrastati.
Avv. Stefano Massimiliano Ghio